2.3 Gravità narrative
Socrate: Difatti sarebbe cosa straordinaria, ragazzo mio, se alquante determinate sensazioni si trovassero dentro di noi, come dentro a cavalli di legno, e tutte quante non tendessero poi insieme a una unica idea, sia l'anima o quale la si debba chiamare, «con la quale» «mediante questi sensi», quali organi, noi proviamo la sensazione di quanto è sensibile. (Platone, Teeteto)

L'obiettivo principe della Multiple Drafts Model di Dennett è offrire una teoria empirica a ciò che già per il Socrate di Platone costituiva una problematica.
Il fatto notevolissimo è che le parole del Socrate Platonico evocano una immagine che potrebbe descrivere, sebbene in maniera generale e didascalica, quanto Dennett intende sostenere con la sua teoria.
Dennett non nota esplicitamente questa affinità, eppure nel saggio When Philosophers Encounter Artificial Intelligence (in Dennett 1998), accorda ad un'altra concettualizzazione espressa nel Teeteto ( affine a questa) una valenza positivissima: Platone secondo Dennett intuisce un insoluto problema epistemologico che, nello sviluppo dell'intelligenza artificiale attuale, si ripropone identico nel  frame problem.

[...] unsolved epistemological problem ignored by generations of philosophers: the frame problem. Plato almost saw it. In the Theaetetus, he briefly explored the implications of a wonderful analogy:

Socrates: Now consider whether knowledge is a thing you can possess in that way without having it about you, like a man who has caught some wild birds—pigeons or what not—and keeps them in an aviary he has made for them at home. In a sense, of course, we might say he "has" them all the time inasmuch as he possesses them, mightn't we? Theatetus: Yes.Socrates: But in another sense he "has" none of them, though he has got control of them, now that he has made them captive in an enclosure of his own; he can take and have hold of them whenever he likes by catching any bird he chooses, and let them go again; and it is open to him to do that as often as he pleases.(Cornford trans., 1957, 197C–D)

Plato saw that merely possessing knowledge (like birds in an aviary) is not enough; one must be able to command what one possesses.(Dennett 1998 pag 274-275)

In questa immagine ogni piccione equivale ad un contenuto potenzialmente cosciente che diviene tale solo quando è "catturato".
Fintantoché il piccione/contenuto non è catturato, non è presente, esso è mero stimolo.

Ma cosa significa, in questa analogia, "catturare un piccione"?
In che maniera, diciamo noi, un segnale diventa segno?
Ovvero: in che maniera il mero accadimento fisico diventa veicolo di un significato, diventa "segno per qualcuno", "senso", "contenuto"?
Se si può parlare di un miracolo della coscienza, di salto qualitativo, tale miracolo e tale salto vanno ricercati qui.
La soluzione del problema della coscienza, a nostro avviso, equivale alla soluzione di questa problematica.

La posizione di Dennett a riguardo non può essere però minimamente comparata alla nostra: per Dennett questa problematica è un semplice non senso, non esiste alcun "salto", alcuna "emersione", in Dennett segnale e segno (come da noi intesi) sono la medesima cosa.

Nel saggio Real Consciousness (in Dennett 1998) Dennett evidenzia quanto la coscienza di uno stimolo non sia semplicemente un problema del suo arrivo al recettore; i nostri organi periferici non raggiungono infatti la coscienza.
Un sano bulbo oculare, disconnesso dal suo cervello, non è un sistema capace di visione cosciente e così tutti gli altri organi di senso.
Esisterebbe quindi una unità centrale, una CPU, che, all'interno del nostro cervello raccoglierebbe in un unicum tutti questi stimoli al fine di determinare la coscienza?

La risposta di Dennett è negativa, ed è in essa che incontriamo nuovamente uno dei punti nodali dell'analisi di Dennett: la critica al teatro cartesiano.
Non solo non esiste alcuna entità centrale specifica nel nostro cervello (come la ghiandola pineale di Cartesio o la più recente formazione reticolare) atta ad espletare una unificazione, ma non esiste in nessun caso e modo alcun unicum, alcunastanza ovale nella quale l'unità della coscienza si determini. (Dennett ribadisce qui uno dei concetti chiave della sua analisi, concetto già espresso innumerevoli volte, anche, ovviamente, in Consciousness explained)

Lets call the idea of such a centered locus in the brain Cartesian materialism, since its the view you arrive at when you discard Descarte's dualism but fail to discard the imagery of a central (but material) Theater where "it all comes together". The pineal gland would be one candidate for such a Cartesian Theater, but there are others that have been suggested - the anterior cingulate, the reticular formation, various places in the frontal lobes. Cartesian materialism is the view that there is a crucial finish line or boundary somewhere in the brain, marking a place where the order of arrival equals the order of "presentation" in experience because what happens there is what you are conscious of." (Dennett 1991, pag 107)

Il processo della coscienza, prosegue Dennett in Real Consciousness, può essere equiparato ad una corsa di cavalli.
Durante la corsa diversi cavalli, vicendevolmente, raggiungono la prima posizione.
In questa immagine un cavallo è uno stimolo, il cavallo in testa è il candidato a divenire contenuto presente, ma la coscienza di esso avrà modo di essere soltanto in virtù dell'intera gara (e a gara ultimata) poiché la gara è proprio la risultante di tutti i momenti che la costituiscono e il vincitore della gara è tale perché esiste un rapporto di esso con i non vincitori.

Ogni singolo aspetto, continua, è suddiviso in spazio cerebrale e tempo reale.
Sostiene, con Marcel Kinsbourne, che i giudizi siano frammentati in svariati momenti di microgiudizio.
La novità consisterebbe, a suo modo di vedere, nella maniera tramite la quale ha sviluppato le implicazioni di questa frammentazione.

Sembrerebbe, ad un primo sguardo che le possibilità, in virtù di questa premessa, siano circoscrivibili a tre aspetti:
1) Ciascuno di questi microtakings è un episodio di giudizio incosciente; la coscienza di qualcosa deve essere riposta in un processo successivo. (teatro cartesiano)
Questa possibilità è da Dennett scartata categoricamente.
2) Ciascuno di questi microgiudizi è un episodio di giudizio cosciente. (multiple minicinemas)
Se le cose stessero così, evidenzia, perché non abbiamo l'esperienza di un caleidoscopico flusso di coscienza?
Perché non sperimentiamo una situazione di "multi-sé"?
3) Alcuni di questi microtakings sono coscienti, altri no.
In questo senso si ha una situazione "tutto o nulla".
Ritornando all'immagine della corsa, è il cavallo vincente, e solo lui, il "contenuto presente", la coscienza; gli altri cavalli vengono totalmente annullati.

Dennett sostiene che esista in realtà una quarta alternativa.
La creazione di un contenuto cosciente non è separato da qualcosa che lavora in background, la coscienza è proprio quel background, non esiste un livello ulteriore.
La coscienza per Dennett è il susseguirsi di stati costituiti da diversi processi all'interno del cervello, non esiste però un'emersione, il superamento di un ponte: la coscienza è tale successione.

Non solo: identificare quando un qualcosa diventa contenuto cosciente è un nonsenso.
E' un nonsenso come lo è il tentare di stabilire e determinare cosa sia essere famosi.
L'esempio non è posto caso.
La coscienza, per Dennett,  è celebrità cerebrale, niente di più, niente di meno.
I contenuti che monopolizzano risorse per un tempo sufficiente diventano coscienza.
Non tutti i contenuti possono diventare famosi, in questo tipo di competizione, come in tutte le competizioni, ci sono i vincitori e ci sono i perdenti; e proprio come nello sport la vittoria è tutto.

Consciousness is cerebral celebrity—nothing more and nothing less. Those contents are conscious that persevere, that monopolize resources long enough to achieve certain typical and "symptomatic" effects—on memory, on the control of behavior and so forth.(Dennett 1998, pag 137)

Perché si parla di Modello delle bozze molteplici? (Multiple drafts model)
Tutte le percezioni, i pensieri e le attività mentali in generale sono costituite, secondo questa teoria, da processi di rielaborazione paralleli e multitraccia.
In questa elaborazione l'informazione subisce una continua revisione editoriale.

These distributed content-discriminations yield, over the course of time, something rather like a narrative stream or sequence, which can be thought of as subject to continual editing by many processes distributed around in the brain, and continuing indefinitely into the future. (Dennett 1991, pag 113)
Visual stimuli evoke trains of events in the cortex that gradually yield discriminations of greater and greater specificity. At different times and different places, various "decisions" or "judgments" are made; more literally, parts of the brain are caused to go into states that discriminate different features, e.g., first mere onset of stimulus, then location, then shape, later color (in a different pathway), later still (apparent) motion, and eventually object recognition. These localized discriminative states transmit effects to other places, contributing to further discriminations, and so forth. (Dennett 1991, pag 134)

In questa continua revisione è da Dennett negata ogni possibilità di un unicum revisionatore come è negata una distinzione tra revisione delle percezioni (Stalinesque revisions) e revisione mnemomica (Orwellian revisions), nella quale tale unicum si annida.
La distinzione tra una sfera soggettiva (memoria) e una sfera oggettiva (percezione) costituiscono infatti per Dennett un'ulteriore forma di teatro cartesiano, dove l'unicum (la memoria) vaglia la percezione.

Dennett non si lascia sfuggire l'occasione di rimarcare, nuovamente, la sua posizione.
Tale posizione appare nella sua determinazione più radicale: l'attacco a ciò che Dennett definisce teatro cartesiano è in realtà l'attacco alla distinzione tra soggetto e oggetto, tra apparenza e realtà, tra ente reale e ente logico, tra fenomeno e noumeno.
Alcune determinazioni, anche importanti, della millenaria categoria io-altro diventano letteralmente "bizzarre".

The Cartesian Theater may be a comforting image because it preserves the reality/appearance distinction at the heart of human subjectivity, but as well as being scientifically unmotivated, this is metaphysically dubious because it creates the bizarre category of the objectively subjective (Dennett 1991, pag. 132)

La domanda che ora chiunque potrebbe porre è ovvia: dove, in ultima istanza, la coscienza ha luogo?
La risposta di Dennett è secca:

The answer is: Nowhere [...] there is no one place in the brain through which all these causal trains must pass in order to deposit their content ‘in consciousness.’ (Dennett 1991, pag 135)

Chiariamo con una immagine.
Si immagini il gioco del tiro della corda.
Si considerino le due squadre contrapposte di atleti come due tracce neuronali attive: la coscienza è  il baricentro, il fulcro delle due tensioni contrapposte.
In quanto baricentro, in quanto centro di gravità, esso non è un punto fisico reale ma appunto, come Dennett chiarisce più volte, un'astrazione.
La coscienza è quindi qualcosa di virtuale, anzi, è proprio una virtual machine e chiunque, o qualunque cosa, possieda questo tipo di macchina virtuale è cosciente nel senso più completo del termine.

Anyone or anything that has such a virtual machine as its control system is conscious in the fullest sense, and is conscious because it has such a virtual machine.(Dennett 1991, pag 281)

I singoli microtakings di questa virtual machine, come chiarito, sono inconsci: la virtual machine,  (a parallel device, come la chiama Flanagan) lavora essenzialmente in maniera inconscia.

The fact is that the mind of which it is an aspect is a massively parallel device that does most of its work unconsciously. (Flanagan 1993, pag 41)

Di questo enorme e caotico lavoro  inconscio (parallel pandemoniums) la virtual machine crea una astrazione, un vero e proprio "riassunto".
Questo riassunto è il contenuto cosciente, è appunto il centro di gravità della narrazione.

When a lot happens in a short time, the brain must make simplifying assumptions. (Dennett 1991, pag 142)

Dennett fornisce un esempio concreto, che, a suo modo di vedere, corrobora ulteriormente la tesi del centro di gravità narrativa.
Tale esempio è costituito dalla comunissima esperienza del compiere azioni meccanicamente mentre il pensiero è focalizzato su qualcos'altro.

You have probably experienced the phenomenon of driving for miles while engrossed in conversation (or in silent soliloquy) and then discovering that you have utterly no memory of the road, the traffic, your car-driving activities. It is as if someone else had been driving. Many theorists (myself included, I admit) have cherished this as a favorite case of "unconscious perception and intelligent action." But were you really unconscious of all those passing cars, stop lights, bends in the road at the time? You were paying attention to other things, but surelyif you had been probed about what you had just seen at various moments on the drive, you would have had at least some sketchy details to report. The "unconscious driving" phenomenon is better seen as a case of rolling consciousness with swift memory loss."(Dennett 1991, pag 137)

Non soltanto esiste un centro di gravità della narrazione ma, come si deduce da questo esempio, tale centro può spostarsi: possiamo recuperare i drafts della narrazione stessa in un momenti successivi, possiamo focalizzare (portare alla coscienza) su aspetti inizialmente inconsci.
Una manifestazione ancora più comune di questo fenomeno, aggiungiamo noi, è sperimentata da tutti voi in questo stesso momento: la lettura di queste parole, nella vostra esperienza visiva attuale, costituiscono il centro di gravità, il fuoco, dell'immagine che il vostro cervello produce dell'ambiente nel quale vi trovate.
Le parole che ora leggete sono presenti alla vostra coscienza e tale presenza è "il primo piano", ma la vostra esperienza visiva non è limitata alla lettura dei segni che costituiscono queste parole; essi sono infatti immersi in una immagine più vasta complessa e ricca.
La maggior parte di tutti gli elementi costitutivi di questa immagine non sono presenti alla vostra coscienza, non si trovano nel "fuoco", nel centro o in prossimità del centro di gravità, si trovano in aree ad esso esterne.
Centro di gravità quindi: e tale centro esiste solo e soltanto perché tutti gli elementi costitutivi esistono, esso è "il centro" di tutti essi, ha senso parlare di centro solo in virtù di essi.
Non esiste quindi per Dennett una coscienza che coglie attivamente questi microtakings, questi elementi costituitivi,  la coscienza attiva è la risultante di tutti essi, è attiva perché essi sono attivi e non viceversa.
Il fuoco dell'immagine esiste, in ultima istanza, perché l'immagine esiste e non il contrario.

Queste acquisizioni di Dennett sono senza dubbio interessanti.
La visione della coscienza come "centro di gravità narrativa" è sicuramente compatibile con la nostra visione del problema: ogni coscienza è l'esito di un unica ed irrepetibile linea spazio-temporale, questa linea può sicuramente essere vista attraverso la "metafora editoriale" che Dennett propone.
Se per noi tale linea spazio temporale corrobora l'idea di "unicità della coscienza", essa è infatti unica ed irripetibile, in Dennett il centro di gravità narrativa ha valenza opposta, al pari dei centri gravità (come discusso) quell'unicum è una astrazione.
Il problema qui è decisamente costituito da un mero punto di vista, quasi dall'uso e dal senso delle definizioni: per Dennett la coscienza non è un processo ma una serie di sottoprocessi, e appunto non si ha un unicum, per noi tutti quei sottoprocessi costituiscono un processo, e appunto un unicum è costituito.
E ben vero che un grappolo d'uva è in realtà costituito dai suoi acini, ma appunto tutti gli acini e assieme costituiscono Un grappolo.

La nostra posizione a riguardo non è certo solitaria.(Anzi: si può affermare senza tema di smentita che sia proprio la posizione di Dennett ad esserlo)

[...] a characteristic feature of conscious thought […] is its 'oneness' – as opposed to a great many independent activities going on at once (Penorse 1989, pag 398-399)

[...] consciousness harbours the contents of the several basic sensory modalities within a single unified experience[...] (Churchland 1995, pag 214)

E' sicuramente poi degna di nota, e perfettamente coerente con tutto il suo discorso (sebbene non costituisca in alcun modo un contributo originale o distingua Dennett in maniera vistosa come l'MDM) l'istanza d'oggettività che Dennett propugna attraverso la sua eterofenomenologia.(Heterophenomenology)
Con essa Dennett ribadisce il suo distacco da ciò che è res cogitans, e nuovamente nega il teatro cartesiano: ogni forma di introspezione non ha alcuna valenza scientifica.
La corsa dei su citati cavalli, proseguendo con questa metafora, non può essere studiata dal punto di vista del fantino.

[...] what we are fooling ourselves about is the idea that the activity of ‘introspection’ is ever a matter of just ‘looking and seeing.’ I suspect that when we claim to be just using our powers of inner observation, we are always actually engaging in a sort of impromptu theorizing—and we are remarkably gullible theorizers, precisely because there is so little toobserve and so much to pontificate about without fear of contradiction.(Dennett 1991, pag 67-68)

Su questo punto la nostra posizione, in tutta onestà, non concorda appieno con quella di Dennett.
Possiamo studiare oggettivamente gli stati della coscienza di un'altro individuo basandoci sulle sue oggettive asserzioni e sui suoi oggettivi comportamenti (ciò che un comune comportamentista potrebbe sostenere) ma possiamo farlo solo e soltanto perché abbiamo un'esperienza soggettiva (alla quale accediamo solo e soltanto per via introspettiva, anzi, nella quale siamo irrimediabilmente e definitivamente confinati) alla quale possiamo ricondurre, per analogia, quelle asserzioni e quei comportamenti.

La nostra posizione è quindi, in questo caso, più vicina a quella di John Searle piuttosto che a quella di Dennett.
(John Searle non "glorifica" certo l'introspezione, anzi individua un vero e proprio "principio di indeterminazione": non posso "osservare oggettivamente" l'attività della mia coscienza senza alterarne i contenuti stessi attraverso l'osservazione medesima.)

The facts are that biological processes produce conscious mental phenomena, and these are irreducibly subjective.[...]The model is one of objective (in the epistemic sense) observers observing an objectively (in the ontological sense) existing reality. But there is no way on that model to observe the act of observing itself. (Searle 1992, pag 98)Though I can easily observe another person, I cannot observe his or her subjectivity. And worse yet, I cannot observe my own subjectivity, for any observation that I might care to make is itself that which was supposed to be observed.[...] Observation is always someone's observation; it is in general conscious; it is always from a point of view; it has a subjective feel to it; etc.(Searle 1992, pag 99)


Concludiamo con l'obiezione fondamentale che vogliamo muovere a Dennett.
Dennett non spiega, come accennato, il passaggio da segnale a segno. (Per Dennett non c'è infatti alcun passaggio)

Sostiene che i contenuti coscienti sono tali se monopolizzano risorse cerebrali per un tempo sufficiente (cerebral celebrity) ma, e questo è il nodo, un contenuto non può in nessun modo monopolizzare risorse.
Un contenuto non è segnale, un contenuto è un significato, ed un significato senza dubbio è qualcosa che si pone oltre l'ambito del segnale, dato che si pone addirittura oltre l'ambito del segno. (è appunto significato, in senso etimologico: qualcosa di cui si costituisce un segno, qualcosa che è "etichettato" tramite un segno, ma che è altro dal segno stesso).

Un segnale può monopolizzare risorse, ad esempio l'attivazione di una traccia neuronale (ci rendiamo conto della estrema semplificazione), ma un segnale non è un contenuto perché un segnale non è un segno.

L'errore fondamentale di Dennett ci pare proprio questo: accorpare segnale, segno e significato (contenuto).
Un segnale può divenire segno (e lo diventa solo se significa, se "etichetta" qualcosa) ma in questo divenire c'è un dettaglio fondamentale: un segno significa qualcosa solo se esiste un qualcuno per il quale esso è segno.
Senza un qualcuno il segno è mero segnale, non ha senso alcuno parlare di segno, è questo il vero nonsenso.
Risolvere questo passaggio, il passaggio da segnale a segno, significa quindi risolvere anche l'esistenza di quel qualcuno, ovvero l'esistenza della coscienza.