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Sul testamento biologico

Priamo Moi
2007 04
Omero nel canto XI dell’Odissea ponein bocca all’”ombra” dell’eroe Achille queste parole: “ Non lodarmi laMorte, splendido Odisseo, vorrei essere bifolco, servire un padrone chenon avesse ricchezze piuttosto che dominare sulle ombre consunte”.
La scena ha luogo nell’Ade,  luogo dove anche gli eroi famosivanno a finire,  e dove Ulisse si è recato per interrogarei trapassati: quelle parvenze d’uomini che popolano l’Erebo.
Questa era la visione dell’aldilà diffusa nella Grecia di Omero,una concezione nella quale la morte è ciò che piùdi terrificante possa attendere ogni uomo.

Alcuni secoli dopo, nella religiosità dei misteri orfici, laprospettiva cambia radicalmente.
Il morire diviene un “emigrare”, un ritornare ad una vita piena chesulla terra si cerca invano di conseguire.

E' questo tipo di concezione orfico-pitagorica che sottende laserenità del Socrate dei dialoghi platonici .
“Questa emigrazione non è senza speranza per coloro i qualifilosofano e direttamente si esercitano a morire. Chi èschiettamente amico della sapienza nutre la sicura speranza che innessun altro luogo potrà trovarla, nella sua interezza”.
La consapevole serenità del Maestro Ateniese ci pone davanti lacertezza di chi  ritiene questo trapasso molto piùimportante della vita terrena.

In Aristotele il mito orfico-pitagorico è confutato dalla tesiche afferma: “ L’anima come principio organizzatore delle funzionivitali costituisce col corpo un’unica sostanza vivente, di conseguenzacome individualità è destinata a dissolversi col corpo”.
Idea presente anche, sebbene in termini differenti, nelle filosofieellenistiche: “Nella morte sarai libero da ogni molesto dolore, ancheperché quei supplizi che dicono vi siano nel fondodell’Acheronte gli uomini li vivono su questa terra”.
Il Saggio dovrà quindi tollerare tanto la vita quanto la morte,senza rendere la prima affannosa nel timore della seconda.
Il filosofo non fugge quindi dalla vita, al momento giusto neuscirà.

Morire è inevitabile e come facciamo di tutto per vivere benedobbiamo far di tutto per morire bene.
Evitare una morte che si prolunga nel tempo è lecito e opportunonon solo per motivazioni esclusivamente egoistichiche o edonistiche maanche perchè spesso la sofferenza non è un fattomeramente privato:  il nostro strazio arreca turbamento ai nostricari, che sicuramente a loro volta soffrono nel vederci in balia di uncorpo che esiste solo per il patimento.

Il Cristianesimo, frutto dell’incontro tra ellenismo e pensierogiudaico, propone una visione della vita terrena come itinerariodell’anima verso Dio.
L'anima, uscita col nascere dalla mente della Divinità, a leiritorna con il morire carica delle esperienze e dei meriti acquisitinella vita terrena.
Pochi osarono mettere in dubbio pubblicamente questa concezione, sino ache dopo il Rinascimento, il materialismo rafforzato dall’evolversidegli studi fisici riaffermò la concezione aristotelicadell’anima come forma della corporeità che con il degrado dellastessa scompare.
Le scienze naturali favorirono la ripresa della concezionedell’atomismo democriteo che alla fine divenne il paradigma esplicativodella fisica e della chimica moderne.
La medicina nell’ottocento si mosse tutta dentro un orizzonteconcettuale di tipo positivistico-materialista, di conseguenza ilproblema dell’anima o psiche o mente fu inquadrato entro coordinateteoriche che non prevedevano soluzioni estranee alla corporeitàvivente o posteriore al degrado di essa.
Il mito esplicativo proposto da Freud si radica su ipotesi che ilTalmud aveva a modo suo anticipato e che lo studioso Viennese esposecon coerenza sistematica che le rese compatibili con i paradigmi dellamedicina del secolo scorso.

Vogliamo concludere questo breve escursus storico, affermando che igreci e gli ebrei nei loro testi classici riuscirono a dire tuttoquello che c’era da dire sul problema in questione.
Ben poco è stato aggiunto nell’ultimo secolo alla soluzione deldilemma, a meno che non si vogliano annoverare come contributi teorici,le chiacchiere di tutte quelle “ teste di legno” che affermano diparlare d’anima e di corpo, di un al di qua e di un al di là, dispirito e di materia, mentre non fanno altro che proporre schemidogmatici obsoleti sia sul versante spiritualista che sull’altro. (Uncerto  materialismo chiuso ed  integralista tanto quanto leideologie che si propone di confutare.)

Negli ultimi tempi altre concezioni hanno tentato la soluzione delproblema riguardante questa visione dualistica dell’Uomo e del Cosmo.
Alcuni affermano che: “L’uomo si trova a vivere una vita dalla quale sisente estraneo, costretto a dimorare un’abitazione stretta, angusta ecarica di dolori e per alcuni lontana dalla trascendenza, cioèdalla sua vera origine”.
Secondo questa opinione la vita è stata gettata in questo mondo,come la luce nelle tenebre, così come l’anima nel corpo.
Questo punto di vista pone in evidenza la “ violenza originaria” cheè stata fatta ad ogni uomo all’atto della nascita, violenzacaratterizzata dalla passività totale di un essere che vieneposto in una realtà che lui non ha per niente costruito e nellaquale si sente estraneo.
Il fascino di questa proposta è innegabile anche perchéle pulsioni più profonde dell’animo umano sono solleticate eblandite ed allo stesso tempo poste a fondamento della teoria.
Se si ragiona così la china verso il pessimismo piùdisperato, non per niente tante anime belle proclamano e diffondono intutti i modi, il loro nichilismo filosofico giustificandolo con talipremesse.
Questa visione che affonda le sue radici nel dualismo teoretico chevide contrapposti il corpo e lo spirito, il mondo e l’uomo è unaconcezione che vede la scissione prevalere nella unità organicadegli elementi che compongono sia il microcosmo ( l’uomo) che ilmacrocosmo ( la realtà tutta).

Questa scissione può essere superata, a nostro parere, soloattraverso una posizione che veda la vita e la coscienza umana non comecontrapposte alla corporeità ma da essa emergenti e soloattraverso essa possibili.
La mente umana può essere vista come una meraviglia, come il“miracolo” più grande al quale si possa assistere, ma tuttociò non ci autorizza a fare metafisica, dimenticando chec’è una necessaria base organica da cui emerge la vitacosciente.
Se questo è vero allora la cura della vita e della coscienza nonpuò prescindere dalla cura per la corporeità materialeche ne costituisce la necessaria radice.
Per entrare nel problema posto dal titolo: “ Chi deve prendersi curadella nostra vita, della nostra coscienza, della nostracorporeità?”.
Si può rispondere che, in prima istanza, il responsabileè il soggetto interessato a questo spinto dall’istinto diconservazione.

L’uomo però non è autarchico, anzi ogni vivente, non solol’uomo, sperimenta le attenzioni che i suoi simili gli dedicano acominciare dalle cure parentali necessarie anche se non sufficienti aconsentirgli di arrivare all’età della riproduzione.
In secondo luogo ogni vivente dotato di coscienza, presenta uno statuscaratterizzato da indigenza e vulnerabilità, in special modonelle fasi iniziali e terminali della vita.
In questi due momenti la responsabilità degli altri nei suoiconfronti è totale.
Chi sono quelli che più degli altri devono curarsi di lui; iparenti prima di tutto, la società con le sue norme e i mediciche praticano- possibilmente col suo consenso- le terapie utili aconservare la vita cosciente.
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, la Costituzione Italianaall’articolo 32 parla chiaro: “La Repubblica tutela la salute comefondamentale diritto dell’individuo ed interesse dellacollettività.. nessuno può essere obbligato ad undeterminato trattamento sanitario.. la legge non può in alcuncaso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
In periodi non molto lontani dai giorni nostri Madre Natura attraverso“sorella morte corporale” provvedeva a fare il suo corso, attualmentele tecniche di rianimazione e di alimentazione forzata pongonol’umanità di fronte a situazioni nuove che vedano la classemedica ed il legislatore impegnati, nel tentativo di risolverle.

Come al solito, forze estranee alla coscienza del singolo, dei medici edel legislatore intervengono nel tentativo di sostituirsi a coloro chesul problema devono avere voce in capitolo.
Noi personalmente respingiamo l’idea di una bioetica in mano a pochi,che sia il “gendarme” di situazioni che invece devono essere discussein modo libero e pluralistico e che pongono il rispetto della personaumana al centro della diatriba.
Assieme ai medici ed al legislatore, la bioetica deve vedere coinvoltitutti quelli capaci di interrogarsi intorno a ciò che ègiusto fare, in momenti che vedono l’Uomo e la sua dignitàcorrere il pericolo di subire le conseguenze di pratiche che con questaconfliggono.
 In altre parole urge stabilire cosa è lecito fare quandosi interviene o non interviene sulla vita umana in fase terminale.
Vorremmo  che si tenesse presente il principio che afferma: “ Nelmomento cruciale del trapasso, è la persona umana la misura traciò che è lecito e ciò che non lo è, ancheperché questa persona è stata capace di autodecisione edi scelta.”
In altre parole siamo convinti che ogni individuo è autonomo enessuno può essere sottoposto ad autorità superiori opresunte tali che possono scegliere sulle questioni riguardanti la suasalute e la sua vita. Siamo convinti che il diritto di vivere( senzasofferenze inutili) sia la fonte di tutte le normative etiche, maquesto diritto prevede quello di poter morire senza essere sottoposti aterapia quali l’alimentazione o la respirazione forzata, tecnichequeste che impediscono a Madre Natura di fare il suo corso. Una viad’uscita  questo groviglio di problemi potrebbe consistere nelcosì detto “ testamento biologico” da stilare quando si ci trovain situazione di responsabile capacità di intendere e di volere.

In Italia, esiste un progetto di legge che il Parlamento non ha ancorareso norma operante. In Germania invece la Corte Suprema ha ritenuto edaffermato che il testamento biologico ha carattere vincolante, daallora circa 7 milioni di tedeschi lo hanno stilato.
A tutti quelli che per vari motivi vorrebbero continuare a decidere pergli altri e che si oppongono ad una legislazione statale che vada inquesta direzione, potremmo rispondere:
“ Una legge dello Stato in questo ambito, permette, ma non obbliga, ecertamente non si sostituisce all’ultimo giudizio della coscienzaindividuale, anzi ha il preciso scopo di non determinarla”.

Agendo così la distinzione tra moralità personale elegalità emergente dalla normativa statale resta ben chiara,anzi questo è uno dei casi in cui il legislatore permettendo, manon obbligando i singoli e le loro scelte, li tutela per principio”.
Purtroppo esistono strutture che per quanto riguarda le normativeetiche si sentono insostituibili nelle loro certezze che tentano intutti i modi di imporre anche agli altri. Queste certezze potrebberoessere persino delle rispettabili convinzioni, da vivere etestimoniare, ma  non potranno mai essere imposte ad altri che lapensano diversamente.
Disgraziatamente nella loro egoica concezione, gli appartenenti aqueste strutture di potere, non vengono mai assaliti dal dubbio checomportamenti simili sono
“idolatria” in continua e succube adorazione del proprio potere didecisione.

Nonostante tutto noi siamo ottimisti, anche perché lariconosciuta ed evidente insufficienza giuridico normativa dovràessere superata, vista la necessità di adeguarla  alleesigenze degli operatori della sanità ed alle convinzioni etichedella maggioranza dei cittadini.
Se le organizzazioni che hanno a cuore la libertà di coscienza,impegneranno le loro forze, sia in Italia che in Europa, potràessere riconosciuto quello che la Corte Suprema della Germania hastabilito per i suoi cittadini.
Vorremmo in conclusione provare a dare una risposta a tutti coloro cheritengono i loro principi morali radicati nel trascendente e che pertale motivo si oppongono al testamento biologico.
Dobbiamo premettere che in Italia (nell’Occidente in generale) citroviamo a vivere in una  società il cui tratto essenzialeconsiste nel pluralismo politico- religioso.
Di conseguenza eventuali norme legislative riguardanti il problema inquestione, potranno essere definite solo tenendo conto di un contestostorico e politico dove convivono diverse opzioni morali.

Per questo motivo una società come la nostra, non può nonriconoscere e favorire attraverso le leggi, la rispettosa coesistenzadi “comunità morali” diverse.
Norme legislative che devono rispettare le differenti opzioni etichelimitandosi a stabilire i princìpi di una “morale procedurale”che eviti di imporre determinate scelte ed al contempo impedisca cheparticolari convinzioni prevarichino le altre.

Dal punto di vista teoretico, siamo convinti che non esistanocontroversie che non possono essere trattate attraverso lapratica  del dialogo, questa antica e venerabile procedura -chetrovò in Socrate uno dei promotori – è la via pacificache può portare ad un accordo sul problema in questione.
Se partiamo dalla convinzione che la relazione tra persone che assiemecercano di realizzare una libera convivenza, sia l’essenza costitutivadel vivere umano, allora il pluralismo delle opzioni non giustifica ilpresupposto (o la conclusione) che queste diverse scelte rendano igruppi che la praticano degli “ stranieri morali ”a coloro checondividono  altre scuole di pensiero, perché tutti quelliche appartengono alla comune patria dell’Umanità, non sono pernessun  motivo estranei gli uni agli altri.
Bisogna riconoscere che le varie “comunità morali” checostituiscono le società occidentali sono portatrici di“verità” condivise  solo all’interno delle stesse e chesono diverse da quelle proposte da altre.
Nessuna di queste “comunità” può mettere in discussionela legittima esistenza di altre visioni del mondo anche perchéla fattuale molteplicità di professioni filosofiche, teologiche, politiche o morali è una realtà che nessun diktatpuò abolire.
I queste situazioni il dibattito etico diviene oggetto di pubblicoconfronto, perché questo fatto impone a tutti- nel rispettodelle posizioni di tutti- di continuare l’indagine su questi temi.
I motivi per fare ciò sono tanti, ne proponiamo due; in primoluogo per quel presupposto (o postulato) riguardante il rispetto dovutoa tutti gli appartenenti alla Unica famiglia umana.

L’altro invece riguarda la Ricerca sul comportamento da tenere siaverso se stessi che verso gli altri, questa indaginerisulterà  sempre aperta anche perché, la “ tavola”sulle norme morali nessuno ancora è riuscito a completarla inmodo definitivo.
Vorrei concludere tentando di rispondere a tutti quei fratellinell’umanità che condividono il “monoteismo etico”, che prevedeUn Solo Creatore, Una Sola Umanità ed una Sola Legge Morale.

Le escatologie o le visioni salvifiche collegate a questa concezionedel mondo, non sono in discussione perché appartengono alleintime e personali convinzioni di ciascuno, possiamo peròprecisare qual è per noi il significato di queste parole.
Da Abramo in poi il tempo e la Storia ci mostrano fatti concretiriguardanti l’uso e l’abuso della parola Dio che arrivano adottenebrare e capovolgere il significato della stessa. Situazioni dovesi è invocato questo Nome per proporre norme di comportamentoche definire barbariche è un eufemismo.
 Martin Buber a questo proposito sostiene che : “Nessuna parolaè stata insudiciata e lacerata come Questa… generazioni diuomini hanno ucciso in Nome di Dio. Esso porta addosso le improntedigitali ed il sangue sgorgato dai loro delitti. Facendo cosìhanno disegnato  una caricatura di quell’ Essere a cui si èrivolta sempre l’Umanità Straziata, ma il Dio in nome del qualehanno brutalizzato ed inquisito gli altri, non può esserel’Unico Dio vivente di tutte le creature”.
Le parole del filosofo ebreo, ci ricordano che la Veritàè stata sempre sottoposta e giudicata dal Potere, in primis daquello sedicente “religioso”. Perciò un po’ di prudenzavisti  i precedenti , dovrebbe guidarci ed illuminarci a propositodi norme emanati da organizzazioni che durante la storia hannoesercitato con protervia dogmatica la loro prepotenza.

L’unico Dio, il “Vivente che Vede” può sembrare a prima vistairrimediabilmente perduto, scomparso dietro le infamie di coloro chedicono di parlare nel suo Nome.
Buber però conclude con queste parole, che facciamo nostre :“L’eclissi della Luce di Dio non significa la sua estinzione,già domani la nube che si è frapposta tra Noi e Lui,potrebbe scomparire”.

Spetta agli Uomini di buona volontà portare avanti praticheetiche tali da far sparire quanto prima questa Nube.