Nella pagina che precede il frontespizio del primo volume dell' "Encyclopèdie", c'è una rappresentazione della Verità, che rende esplicito lo spirito dell'Illuminismo di cui quest'opera è il "manifesto" più significativo.
Nella tavola in questione la Verità è posta in alto al centro, da lei emana - nonostante sia coperta da un velo- una forte luce. Alla destra della Verità stanno la ragione e la filosofia, che tentano di toglierle il velo affinché la Luce possa rischiarare ciò che è ancora immerso nell'informe oscurità.
L'Enciclopedia ovvero Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, fu realizzato sotto la direzione di Jean d'Alembert e Denis Diderot, alla sua stesura parteciparono i più noti intellettuali dell'epoca.
Il primo volume fu pubblicato nel 1757, il testo venne completato nel1765 e le tavole che la illustravano nel 1772.
A proposito d'illuminismo abbiamo letto - su "Il Sole-24ore" del 23 Marzo 2003- un articolo che parlava del rapporto tra crimine e giustizia così come emerge dall'opera del Beccaria, autore del "Dei Delitti e delle pene", che fu pubblicato anonima, a Livorno, nel 1764.
Cesare Bonesana - marchese di Beccaria- fu uno dei collaboratori del "Caffè" rivista pubblicata- dal Giugno1764 al Maggio 1766- a Milano dai fratelli Alessandro e Pietro Verri.
L'autore del "Dei delitti e delle pene" si dichiarava discepolo di Montesquieu, di Rousseau e di Helvetius.
D'Alembert e Voltaire condivisero in pieno l'opera di Beccaria, facilitandone la traduzione e la diffusione in tutta Europa. Detto questo vorremo commentare alcune prese di posizione presenti nel - per altri versi- pregevole articolo, perché le riteniamo insostenibili dal punto di vista storico.
La prima è questa: "tra parentesi, è curioso notare che l'Ambrosiana possiede più di una copia della prima e delle successive edizioni dell'intera "Encyclopèdie", smentendo così lo stereotipo "dell'oscurantismo" ecclesiastico che esorcizzava ogni novità "laica"."
Che nella benemerita Biblioteca Ambrosiana siano presenti varie copie dell'opera in questione è un fatto inoppugnabile.
Che da questo si possa dedurre che il Potere Vaticano non abbia osteggiato la diffusione del "manifesto" dell'Illuminismo è molto difficile se non impossibile affermarlo.
Sappiamo che nel periodo in cui venivano pubblicati i primi volumi dell'opera, sul soglio pontificio sedeva Benedetto XIV alla sua morte - avvenuta nel 1758- venne eletto papa il veneziano Carlo Rezzonico che prese il nome di Clemente XIII.
Non condividendo l'atteggiamento tollerante del suo predecessore, papa Clemente si affrettò a mettere all'Indice, sia l' "Encyclopèdie", che tutte le opere di Rousseau; ditemi voi cari lettori se questo non è un "esorcismo" o qualcosa di peggio?
L'Indice dei libri proibiti (nel latino curiale, Index Librorum Prohibitorum) è l'elenco ufficiale delle pubblicazioni ritenute - dal Potere Vaticano- contrarie alla morale e alla fede.
Le opere presenti nell'Indice erano considerate scandalose, pericolose ed eretiche e come tali condannate; come conseguenza era proibito ai fedeli diffonderle e possederle. La lettura di queste comportava pene severe, rigidamente regolate da norme del Codice di Diritto Canonico.
Potevano conoscere e leggere queste opere solo le persone autorizzate - chiamate a difendere i dogmi e le istituzioni vaticane- agli altri veniva interdetto il possesso, la lettura e la diffusione, come abbiamo già detto.
Non abbiamo mai creduto all'oscurantismo dei chierici e tanto meno all'illuminismo degli altri, anche perché i fatti devono volta per volta farci decidere sulla questione, in questo caso la Storia nella sua concretezza smentisce l'opinione dell'articolista.
Siamo convinti che il Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, sia per certi argomenti un'autorità, restiamo però lievemente meravigliati nello scorrere un'altra frase dell'articolo riferita all'autografo dell'autore dell'opera "Dei delitti e delle pene". Citiamo: " Questo testo, capitale della cultura liberale dell'intero occidente, uscirà da questo armadio e dalla sua custodia posticcia (di chiara impronta massonica, come è possibile intuire dai simboli della legatura) e verrà esposta al pubblico nelle sale della Pinacoteca Ambrosiana per una mostra che …. vuole illustrare un tema delicato ma di nuovo attualissimo proprio nei nostri giorni, quello della "pena di morte, della tortura e della giustizia" come recita il sottotitolo della esposizione".
Nel sentire tutto ciò l'abate Agostino Barruel - che nel 1797 scrisse un libro in cui sosteneva che alle origini della rivoluzione francese vi fosse un complotto guidato dalla Massoneria- forse si è rivoltato nella tomba.
Noi - pace all'anima sua- non scriviamo certo perché, rivoltandosi di nuovo, si rimetta a posto; lo facciamo perché riteniamo che se le custodie possono essere "posticce", i contenuti certamente non lo sono.
L’abate Barruel nella sua opera dal titolo: "Memories pour servir a l'historie du Jacobinisme" sostiene la seguente tesi.
Gli autori del piano cospiratorio che portò alla rivoluzione erano tre intellettuali illuministi: "Il capo era stato Voltaire, l'esecutore più astuto D'Alembert; a loro si era aggiunto un giovane ingegnoso, ma corrotto dalle idee di Voltaire e per sua natura un po’ pazzo che si chiamava Denis Diderot. Costoro avevano organizzato e diretto la cospirazione del partito di "filosofi" al quale avevano aderito sovrani come Giuseppe II (Austria) e Caterina II (Russia) ed inoltre vari uomini di lettere tra i quali spiccava Rousseau". Le intenzioni dei congiurati vennero rese di pubblico dominio quando il club dei Giacobini portò in trionfo le ceneri di Voltaire al Pantheon. Inoltre il successo del complotto venne documentato - di fronte alla storia- quando fu solennemente sancito il diritto di ogni uomo alla libertà. Detto questo, delle due l'una; se la ragione sta dalla parte dell'abate Barruel allora Beccaria ha avuto come difensori ed ispiratori dei mefistofelici congiurati che hanno tramato per sovvertire - riuscendoci- la società. Di conseguenza non solo la custodia , ma nemmeno il contenuto dell'opera del grande Beccaria è "posticcio", possedendo radici ben identificabili, perciò il Prefetto della Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana ha torto.
Stimolati dall'articolo comparso sul "Sole- 24ore" abbiamo affrontato argomenti complessi - tuttora oggetto di discussione tra gli storici- quali l'Illuminismo ed i rapporti tra questo e la Rivoluzione
Francese. Non possiamo certo esprimere pareri definitivi, però un'osservazione ed una citazione vogliamo farle a conclusione dell'articolo e non certo sull'argomento.
Se la caratteristica dell'Illuminismo consiste nel fatto che esso presenta una doppia natura sia teorica che pratica, dimostrata dai suoi tentativi - spesso riusciti- di trasferire le sue concezioni riformatrici sul piano delle iniziative di governo, allora ha perfettamente ragione l'Abate Antonio Genovesi.
Negli anni in cui venivano stampati i primi volumi dell'Enciclopedia, il Genovesi ricopriva la carica di docente di Economia politica all'Università di Napoli, questo illuminato abate -a proposito del rapporto tra concezione filosofica e prassi politica - ci ha lasciato un condivisibile ammonimento: "La ragione non è utile se non quando è divenuta pratica e realtà".
L'illuminismo: ovvero la congiura dei filosofi
Priamo Moi
2003 04
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