Durante il viaggio che mi portava nella terra dell’amico fraterno Suleyman Karim, mi scorrevano in mente i dati e le considerazioni presenti in un’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire” da Amir Taheri.
<< Avvenire 8.11.01- pag. 21 >>. “…ricordiamoci noi musulmani – dice – che l’ottanta per cento delle pene capitali eseguite nel mondo avviene in paesi islamici. Ricordiamoci che esclusa la Turchia e il Bangladesch in nessun paese musulmano si tengono libere elezioni. Ricordiamoci che i due terzi dei prigionieri politici sono detenuti nelle galere di stati islamici. Ricordiamoci che dei trenta conflitti in corso, ventotto vengono combattuti in aree dove la religione musulmana predomina. Queste informazioni tanto più significative quanto più preoccupanti perché fornite da uno che era stato il direttore del maggiore quotidiano di Teheran – prima che i khomeinisti lo costringessero all’esilio a Londra – mi passavano in mente al mio arrivo a Tangeri. Il porto di Tangeri brulicava di vita, da qui erano partiti i conquistatori arabi e magrebini che arrivati in Andalusia vi fondarono una delle civiltà più aperte e mature del Medioevo. Il debito culturale della filosofia occidentale e cristiana nei confronti dei pensatori islamici è noto; vorrei ricordare che lo stesso Tommaso D’Aquino desume due delle sue cinque “vie” o prove dell’esistenza di Dio proprio da due pensatori islamici. Per la precisione, la terza, quella che parla del rapporto intercorrente tra le cose possibili e le cose necessarie, la prende dall’opera dell’aristotelico arabo Avicenna. L’ultima di queste “prove”, che viene dedotta dal fatto incontrovertibile che tutte le cose tendono verso un fine ben preciso, segue passo passo l’argomentazione di un altro filosofo islamico aristotelico chiamato Averroè. A questo mio rimuginare storico –filosofico, pose fine la voce di Karim (significa generoso) con le sue parole di benvenuto e con il suo sorriso aperto. Ci dirigemmo verso Sud lungo l’autostrada che costeggia l’Atlantico, la terra era coltivata e ben tenuta, mi sembrava di essere tornata nel Sud del Portogallo; la luminosità del cielo era la stessa, però i suoni della lingua dei miei compagni di viaggio non erano quelli che sentì nella dolce terra lusitana, comunque non mi giungevano nuovi, avevo l’impressione di averli già sentiti. Stimolati dalla recente lettura di un libro di Vincenzo Consolo e dall’ambiente che attraversavo si formavano nella mia mente riflessioni e considerazioni vagabonde che voglio qui riportare. Da queste terre vennero - nell’827 su di una piccola flotta – al comando di un dotto giurista settantenne, chiamato Asad ibn al Furat, - i musulmani che fecero rifiorire la Sicilia. L’isola che prima era stata depredata e spoliata dai romani e che po aveva subito l’estremo abbandono del potere bizantino , conobbe con gli arabi una nuova vita. Consolo continua dicendo:”….ma il miracolo più grande che si opera durante la dominazione mussulmana è lo spirito di tolleranza, la convivenza tra popoli di cultura, razza e religione diverse “. Mi chiedevo e mi chiedo – nello scrivere queste righe – perché l’islamismo che ieri è stato una religione costruttrice di civiltà tolleranti ed aperte, oggi alcuni vogliono imporlo col terrore, la repressione e la distruzione. Perché? Il viaggio proseguiva, stavamo attraversando una grande foresta di querce da sughero, un immenso parco chiamato “Foresta della Maamora”. Arrivati a Salè, di fronte a Rabat, un ristorante vicino alle mura della Medina ci consentì di gustare il pesce dell’Atlantico. Al di là del fiume si stagliava la bianca città sullo sperone roccioso – dove i monaci soldati avevano costruito il loro “ Ribat” o convento fortificato, da cui venne il nome di Rabat. I monaci guerrieri del Ribat erano dei combattenti che si battevano per la loro religione, anche perché allora dalla parte cristiana – al grido di Dio lo vuole – si organizzavano le crociate. Nella medina di Salè - come in quella di tante città magrebine – c’è il “Mellah” cioè il quartiere ebraico; Mellah, significa salato. Vi chiederete cosa c’entra il sale con gli ebrei? Succedeva – erano altri tempi – che a loro veniva affidato il compito ingrato di mettere sotto sale le teste dei giustiziati, le quali – terribile monito – sarebbero state esposte lungo le mura della stessa medina. Questo mi disse il fraterno amico Suley man Karim, trovandone conferma nella guida Michelin. Durante il viaggio di ritorno, il giornale che mi venne dato presentava in prima pagina un articolo riguardante i rapporti tra mondo islamico e quello occidentale cristiano. Sul “Sole 24 ore di domenica 8 settembre, Bruce Lincoln – studioso americano di storia delle religioni – ipotizzava la sostanziale similitudine tra gli opposti fondamentalismi che agitano il mondo. La divisione dell’umanità tra “fedeli” ed “infedeli” non è proclamata esclusivamente dagli integralisti islamici, ma viene predicata – anche se in modo talvolta più subdolo – da sedicenti ebrei e cristiani incapaci di offrire agli altri un briciolo di tollerante rispetto; la storia delle religioni ci mostra infiniti esempi di un uso strumentale del sentimento religioso dei popoli. Infatti, chierici protervi dimenticando il messaggio originario presente nelle religioni monoteiste hanno adoperato, e tuttora adoperano la poesia della religione per mandare avanti opere di guerra e distruzione trasformandola nella volgare prosa del potere. Questi nella loro folle “cupio dominandi” non fanno altro che mettere la religione al servizio di inconfessabili, ma evidenti interessi economici; la storia ci mostra che le guerre vengono travestite e mascherate da motivazioni teologiche, ma ciò che le genera è sempre un interesse economico sia esso il petrolio o le fonti energetiche, oppure oggi come ieri, la volontà di dominio che emerge da un tipo di economia rapace e sconsiderata che sta saccheggiando il pianeta.
Viaggio tra gli “infedeli”: considerazioni vagabonde
Priamo Moi
2002 09
2002 09